IL PARTITO D’AZIONE: UN’ELITE MORALE E CULTURALE
Nella storia d'Italia è esistito un partito di cui è stata quasi smarrita la memoria. Un movimento politico e culturale che fondava la propria ragion d'essere sulle idee liberali, democratiche, socialiste, laiche e antitotalitarie che hanno prevalso nella temperie dell'ultimo secolo. Questo è stato il Partito d'Azione.Ha scritto Massimo Teodori nel libro "Storia dei laici": " Un paradosso distintivo del nostro paese rispetto all'Europa è lo scambio di ruoli fra vincitori e vinti. Nel secolo XX° in Occidente le tendenze laiche, liberaldemocratiche e socialdemocratiche, fondate sui diritti individuali, la democrazia politica e l'economia del benessere, hanno avuto la meglio sui progetti autoritari, corporativi e populistici, di destra e di sinistra ... In Italia le forze politiche e ideologiche avverse alla libertà e alla democrazia – il partito comunista, il partito postfascista e l'ala clericale del partito cattolico -, pur sconfitte dalla storia, sono invece sopravvissute mutando pelle con una varietà di denominazioni che non sempre ne ha cancellato le radici illiberali; mentre al contrario, le forze politiche e le tendenze culturali del mondo laico, liberale, democratico e socialista – affermatesi ovunque nel secolo ventesimo – sono state spazzate via, rendendo l'Italia, anche per questo, un'anomalia nel panorama europeo."
Così è accaduto per il Partito d'azione.
Fondato nel 1942 ispirandosi al movimento politico risorgimentale di Giuseppe Mazzini si sciolse nel 1947 in seguito alla sconfitta elettorale dell'anno precedente.
Nel Partito d'Azione confluirono, come ricorda sempre Teodori, il movimento "Giustizia e Libertà fondato da Carlo Rosselli, i circoli liberal socialisti di Guido Calogero e Aldo Capitini, i liberaldemocratici alla Ugo La Malfa, i liberali come Luigi Salvatorelli e Adolfo Omodeo, i repubblicani e i socialisti autonomisti-libertari tra cui Emilio Lussu, gli antifascisti gobettiani alla Augusto Monti e Guido Dorso. Pe non dimenticare Ernesto Rossi, Vittorio Foa, Altiero Spinelli e Pietro Calamandrei. Questi gruppi avevano come riferimento la figura di Ferruccio Parri, capo della Resistenza, l'interventista che si era guadagnato tre medaglie al valore nella Grande Guerra e che diverrà poi Presidente del Consiglio.
Gli esponenti del partito provenivano dalla Resistenza. Montanelli li descrive come quei partigiani non comunisti che " emanazione di Giustizia e Libertà, interpretazione partigiana dell'azionismo, furono puri e duri, un èlite umana erede di un èlite culturale, come dicono i nomi dei loro padri storici ( Piero Gobetti, i fratelli Rosselli, Salvemini) e come dicono i nomi dei loro leaders politici (Parri, Lussu, Valiani, Bauer, Garosci)."
Sono 35000 i partigiani di Giustizia e Libertà che dipendevano dal partito d'Azione, il 20% di tutta la Resistenza italiana. Di essi 4500 sacrificheranno la loro vita alla libertà con coraggio ed eroismo. E' doveroso ricordare il nome dell'avvocato Duccio Galimberti, che pronunciò secondo Emilio Lussu, i primi discorsi pubblici del Partito d'Azione dopo l'otto settembre. O quello di Leone Ginzburg, direttore del giornale del partito, " Italia Libera", torturato e ucciso dai nazisti nel 1944 a Regina Celi a Roma.La novità del partito d'Azione era quella di voler proporre, ad opera di un'illuminata borghesia intellettuale, una terza forza risorgimentale, liberale, democratica e socialista, tra la destra conservatrice e la sinistra comunista. Gli azionisti, ritenendo che all'Italia fosse mancata la formazione di uno spirito pubblico laico e nazionale, guardavano alla necessità di una rivoluzione morale della nazione. Ritenevano che il Risorgimento avesse subito un'involuzione a danno del proletariato e della borghesia e a vantaggio del ceto capitalistico che li sfruttava in accordo con tutte le forze conservatrici tradizionali, monarchia, aristocrazia, alti gradi dell'esercito e alto clero, tutti corresponsabili dell'avvento della dittatura fascista. Andava costruita un'alleanza aclassista delle migliori forze produttrici del paese per fronteggiare i soprusi del capitale e dei suoi alleati.
Essi intendevano comporre in un'alta sintesi il socialismo liberale e il liberal socialismo. Vittorio Cimiotta scrive " che si distinguono per la seguente caratteristica: il primo, secondo Mario Delle Piane, è l'eresia del socialismo, mentre il secondo è l'eresia del liberalismo. Entrambi i movimenti, partendo da posizioni politiche diverse, pervengono alla stessa soluzione, cioè alla sintesi dei valori del socialismo e di quelli del liberalismo. La scelta del nome Partito d'Azione, dopo ampie discussioni, intende escludere la preminenza ideologica di una delle due componenti principali sopracitate."
Benedetto Croce criticò il tentativo di armonizzare i principi del liberalismo con quelli del socialismo definendo ironicamente tale ipotesi, sostenuta dai suoi allievi Calogero, Omodeo e De Ruggiero, un "ircocervo".
L'esecutivo del partito, dopo il congresso clandestino di Firenze, elaborò dapprima un programma in sette punti che possono essere riassunti così: " In considerazione del fallimento del regime monarchico, corresponsabile con il fascismo della rovina dello stato, i sette punti enunciati sostengono la necessità di un rinnovamento totale delle istituzioni dello stato con una democrazia repubblicana per il ripristino delle libertà politiche, civili e sindacali. La separazione dei poteri dello stato. L'abbattimento dello stato centralista e burocratico a favore delle autonomie degli enti locali. La nazionalizzazione dei grandi complessi industriali, finanziari ed assicurativi aventi carattere monopolistico e di rilevante interesse collettivo nelle forme più rispondenti alla natura delle imprese. La riforma agraria con la revisione dei patti colonici, la laicità dello stato. Gli Stati Uniti d'Europa "
Successivamente questo programma, criticato da alcuni membri dell'esecutivo come Lussu, portò alla stesura di un testo nuovo in 16 punti ( libertà politica e giustizia sociale, repubblica, riforma amministrativa, autonomie locali e funzionali, economia a due settori, eliminazione progressiva della proprietà terriera non coltivatrice, laicità dello stato, libertà religiosa, federazione europea, ecc.), dove compare per la prima volta la parola socialismo, testo "peraltro invalidato poco dopo dall'ordine del giorno conclusivo del Congresso di Cosenza, firmato da Lussu, Comandini e dai liberalsocialisti.".
***E' difficile parlare del PDA come di una categoria identitaria.
Il rigore morale sembrava essere il vero elemento fondante la coesione del partito. Scrive Adolfo Battaglia:" ... erano esigenze etiche quelle che sostanziavano l'idea della "rivoluzione democratica" da cui tutte indistintamente le correnti del partito d'Azione furono caratterizzate: una rivoluzione, diciamo così, purificatoria che avrebbe creato di colpo un'Italia più degna. Ma sul terreno politico le correnti del partito si dividevano, nessuna condividendo veramente la visione e le alleanze perseguite dalle altre. Il rigore morale che fu caratteristica del Pd'A è dunque una cosa, e l'opera politica della sua dirigenza, ovviamente, tutta un'altra."
Ed infatti fra le varie anime del partito v'era ad esempio quella europeista ed occidentalista il cui gruppo, dopo aver sostenuto il Patto atlantico e il Piano Marshall, confluì poi nel "Mondo" di Pannunzio.
E v'era l'anima di chi si abbandonava a tentazioni neo giacobine in base alle quali riteneva di poter guidare i comunisti. Sergio Romano ricorda che " a Togliatti questa pretesa parve sempre fastidiosa ed assurda .. con argomenti sostanzialmente sprezzanti .. il leader del PCI scartava l'ipotesi che gli intellettuali borghesi del PDA potessero fungere da mediatori fra il potere e le masse.. ".
Soltanto per esemplificare la diversità di tendenze che animava il partito si riporta, dapprima, quanto scrivono La Malfa, Guido Calogero e Carlo Lodovico Ragghianti in una cosiddetta precisazione programmatica successiva al programma dei sette punti: " Di fronte al conservatorismo che si dà veste da liberale, e all'estremismo sociale che non risolve i problemi necessari della libertà, noi affermiamo la nostra volontà di combattere per l'unico ed indivisibile ideale della giustizia e della libertà. Facciamo nostra la rivendicazione e l'ulteriore promozione di tutti quegli istituti della libertà democratica che hanno assicurato il fiorire dello stato moderno, ma siamo convinti di poter procedere in tal senso solo affrontando e risolvendo insieme anche il problema sociale. Vogliamo che agli uomini siano assicurate non soltanto le garanzie istituzionale, giuridiche e politiche della libertà, ma anche le condizioni economiche, che permettano ad essi di valersene per la piena espansione della loro vita. Alla libertà di parola e di voto, non vogliamo che si accompagni la libertà di morire di fame. Ma nello stesso tempo sappiamo che nessuna riforma sociale può realmente assicurare agli uomini la giustizia, se in seno ad essa non opera, perenne il controllo e l'iniziativa della libertà. Né la libertà può essere un futuro, rispetto alla giustizia, né la giustizia un futuro rispetto alla libertà. Entrambe debbono essere presenti ed operanti, a garantirsi e a promuoversi a vicenda". Si tratta di una posizione liberaldemocratica ispirata al liberalsocialismo, alla quale si affiancava quella liberale e interclassista di altri aderenti al partito.
Più a sinistra è invece ad esempio la posizione di Lussu che scrive nell'opuscolo clandestino "La Ricostruzione dello stato": " Con la trasformazione delle strutture della sua economia industriale, agraria e bancaria, e commerciale, lo stato costruirà l'organizzazione politica della maggioranza, e a questo stato il proletariato potrà dare la sua fiducia; esso è anche il suo stato. Poiché il proletariato stesso avrà contribuito a crearlo, lo presiederà e lo difenderà. Questo stato gli consentirà, democraticamente, la realizzazione progressiva del socialismo, senza possibilità di contrattacchi e ritorni reazionari".
E ancora Lussu, dopo il congresso di Cosenza, scrive: " Il socialismo del partito, che differenti correnti originarie tengono a definire autonomistico o liberale o repubblicano o federalistico, e che nell'ordine del giorno della maggioranza ha trovato una formula unitaria indubbiamente non definitiva, segna questa sua coscienza collettivistica." " Socialismo antitotalitario, e quindi non accentratore, non burocratico: socialismo che si realizza nella società e nello stato in prevalente funzione di libertà"." Il partito ha decisamente manifestato la volontà di essere un partito dei lavoratori: operai, contadini (cioè tutti i lavoratori della terra compresi i piccoli coltivatori diretti), artigiani, tecnici, intellettuali, impiegati e quanti vivono del proprio lavoro senza sfruttare il lavoro altrui". " Il partito non sarà mai partito della borghesia". " Il partito è e vuole essere partito di sinistra."
Una differente impostazione, direi aclassista, appare invece su questo punto nella parole di Riccardo Bauer laddove scrive:" L'importante non è l'abolizione delle classi, ma di ordinare la vita politica ed economica in modo che ne sia impedita la cristallizzazione; di contrastare decisamente la tendenza che una classe ha di fissarsi come tale divenendo oppressiva e parassitaria", " La nostra attenzione si volge dunque alla formazione di una classe politica aperta, cioè di quella collettività in perpetuo processo formativo, che positivamente interviene nella determinazione delle sorti della nazione", ..... " il Partito d'Azione né si può dire un partito classista né un partito proletario nel senso comune del termine. ... Vuol essere un partito di lavoratori, non in quanto comprenda coloro che sono distinti da una determinata etichetta economica, ma perché accoglie quanti nella vita sociale esercitano una personale e diretta attività produttiva, danno un personale contributo di energie, non importa se prevalentemente fisiche od intellettuali, alla formazione del reddito sociale."
Un altro punto di discussione che risulta interessante esaminare per evidenziare le differenti impostazioni, è quello dell'economia, privatistica o collettivistica. Sempre Riccardo Bauer, che in questo caso assume una posizione più a sinistra, scrive che " La libertà per noi non è, ma si fa come processo di liberazione; non intrinseca a determinati istituti, è spirituale conquista per la quale gli istituti concreti sono mero strumento. Nel campo sociale gli istituti economici valgono per noi appunto come mezzo e soltanto come mezzo di liberazione" " dal che discende che istituti economici privati, istituti economici collettivi hanno per noi valore relativo e vengono postulati in quanto e solo in quanto servano ad una maggiore libertà dei cittadini, ad una più ampia affermazione della loro umana personalità: son accolti o respinti in funzione dell'efficacia con che, nelle storiche circostanze date, promettono di servire allo scopo". ... " Soltanto la prassi democratica potrà indicarci di volta in volta. Diremmo di momento in momento, quali concrete possibilità vi siano di realizzare una struttura economico – sociale a carattere collettivistico e sino a qual punto; e per converso sino a qual punto debbano essere conservate certe istituzioni a carattere privato. Il nostro socialismo coincide col nostro liberalismo. Sono cioè due momenti necessari di un medesimo ideale, che confluiscono a fissare un concreto atteggiamento politico. In virtù del quale siamo pronti, rivelandosi una politica di socializzazione inadeguata al momento storico, alla maturità della nazione, a smobilitarla, in parte almeno, sempre che ciò avvenga nel quadro d'una prassi politica democratica, chiarificatrice di problemi e determinatrice di un fecondo compromesso tra infinite diverse tesi armonizzantisi." ... " Ciò spiega perché il nostro programma, invece di agitare il mito della collettivizzazione, si limita a proporre la socializzazione dei maggiori complessi produttivi e finanziari sui quali il giudizio negativo circa la loro influenza politico-sociale è pacifico, e postula per contro il mantenimento di quelle imprese medie e piccole per la quali l'accusa di monopolio o l'affermazione della possibilità di degenerazione monopolistica e di parassitismo non può essere senz'altro levata. Pronti d'altra parte a inserire esse pure in un diverso quadro di natura collettivistica qualora questo, collaudato come strumento di libertà, consigliasse di estenderlo a tutte le imprese, senza distinzione."
Bauer afferma la possibilità di dover giungere ad una totale collettivizzazione dei mezzi di produzione, se necessari per la libertà. Secondo un'impostazione di carattere anglosassone sembra difficile comprendere come possa realizzarsi una completa libertà laddove venga sacrificata una minima iniziativa economica privata.Sullo stesso tema diversa appare invece l'impostazione di Manlio Rossi Doria il quale scrive:" Il problema del socialismo è quello di liberare le masse lavoratrici operaie e contadine dallo stato di miseria e di soggezione in cui tuttora vivono nella società moderna e di liquidare i rapporti di permanente conflitto tra le classi sociali: la società moderna ha ormai pienamente i mezzi tecnici per risolverlo sul piano della organizzazione di nuovi rapporti sociali. Il socialismo marxista vede questo mezzo nella collettivizzazione totale della produzione e nella instaurazione di un'economia collettivistica regolata dal centro con la eliminazione di ogni regolazione automatica di mercato.
Questa soluzione – e l'esperienza eroica e terribile della Russia lo dimostra – impone alla società una così dura fase di passaggio tra i due ordinamenti e un così pesante illiberale meccanismo economico che non può, senza abbassamento del possibile livello di civiltà, essere applicata a società a stratificazione sociale complessa e a complessa struttura di produzioni e di scambi.
Essa non è l'unica soluzione possibile. E' concretamente pensabile un'economia a due settori – uno socializzato e regolatore, l'altro libero, organizzato in forme molteplici e retto dall'agile meccanismo dei prezzi di mercato – che soddisfi in pieno tutte le esigenze espresse dagli ideali umani del socialismo e nello stesso tempo consenta un più facile passaggio dal precedente ordinamento e una più alta efficienza di produzione e di scambi"
La visione di Rossi Doria, più liberale, evidenzia ancora una volta l'esistenza di una diversità di visioni dell'economia all'interno del movimento.
E tuttavia Adolfo Battaglia individua due punti di concreto successo nella azione pubblica del partito. In primo luogo esso ebbe la direzione politica della Resistenza, che fu fatto superiore ai partiti, grazie all'impostazione di Ferruccio Parri, e fu fatto patriottico, costituendo la base del nuovo stato repubblicano. In secondo luogo è grazie alle grande opera degli esponenti del Pd'A, che perseguirono con ostinazione e irremovibile rigore la non collaborazione con il governo Badoglio, nonostante il comportamento contrario di Togliatti, che fu possibile la formazione del governo Bonomi, la riforma delle istituzioni e la realizzazione della Repubblica.
In seguito, la pluralità degli orientamenti all'interno del partito manifestatasi in particolare nel congresso di Roma che portò alla scissione di La Malfa e Parri, l'incapacità di esporre concrete indicazioni programmatiche e di organizzarsi efficacemente, oltre all'incomprensione delle masse manovrate dai due grandi partiti chiesa, portarono però allo scioglimento del partito dopo la sconfitta del 1946.
Scrive Denis Mack Smith:" Per la terza forza, rappresentata da Parri, Sforza e dagli azionisti radicali le elezioni furono una nuova sconfitta, e significarono un arresto del loro tentativo di rendere la società italiana più laica, più coerentemente democratica e più egualitaria".
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Gli azionisti presero allora varie e differenti strade.
Ad esempio, scrive Massimo Teodori, " La maggior parte degli azionisti compirono una scelta socialista, sia con l'ala dell'opposizione egemonizzata dai comunisti, sia con l'ala governativa coalizzata con i democristiani. Nel Psiup di Nenni confluirono gran parte dei dirigenti, da Lussu a Foa, da Lombardi a Cianca e Schiavetti, forse nella speranza, o illusione, di rafforzare la tendenza autonomistica restia alla commistione con il Pci. Preferirono invece aggregarsi, pur tra molti distinguo, alla social democrazia di Saragat, Calamandrei e Valiani insieme ai Giellisti Garosci e Codignola. Il gruppo della Concentrazione Democratica Repubblicana ( di Parri e La Malfa) confluì nel Partito Repubblicano di cui La Malfa, dieci anni dopo, sarebbe divenuto leader indiscusso. Più tardi vi furono diverse aggregazioni intorno a riviste," come ad esempio "Lo stato Moderno" e "Il Mondo", sulle posizioni della liberaldemocrazia occidentale, ancorati all'europeismo e all'atlantismo. Al Mondo collaborarono Paggi e Garosci, il filosofo Calogero e Rossi.
Vale la pena ricordare ancora che "gli storici Omodeo, Chabod, De Ruggiero e Salvatorelli si dedicarono ai loro studi fuori dall'influenza marxista allora egemone" .
Quanto alla concezione della libertà, non v'è dubbio che i diritti individuali fondavano la visione ideale degli azionisti. Tuttavia come abbiamo veduto in alcuni di essi affiorava una visione dirigista dell'economia che tendeva a restringere l'iniziativa individuale. Inoltre alcuni esponenti azionisti, come Lussu, De Martino, Foa e Lombardi si allontanarono da una concezione integrale della libertà attraverso un rifiuto esplicito dell'antitotalitarismo anticomunista. E' doveroso riconoscere e ricordare l'autocritica che Vittorio Foa fece in età avanzata in merito ai suoi silenzi sui crimini del comunismo.
Teodori ritiene, pertanto, che non sia sopravvissuta una corrente ideale/politica unitaria dell'azionismo nella storia della Repubblica, proprio per le diverse posizioni e scelte politiche degli ex appartenenti al PDA.
" Dopo la chiusura del PDA , si manifestarono solo vicende politiche divergenti e itinerari contraddittori: presi singolarmente, gli ex azionisti sono stati moderati e giacobini, filocomunisti e anticomunisti, liberali-liberisti e statalisti-nazionalizzatori, uomini d'ordine e fiancheggiatori degli insorgenti, fedeli atlantici e ostinati terzomondisti, utopisti e realpolitici, perfino accusati di parafascismo e para comunismo".
Secondo Nicola Tranfaglia, invece, l'eredità azionista esiste e " fu un lievito importante quello che trasmigrò nel Partito Repubblicano, come in quello Socialista e Comunista, e che immise in quei partiti motivi centrali della lotta politica democratica fino a far parlare nella storia italiana di una fede azionista sopravvissuta alla fine del partito e destinate a nutrire altre formazioni politiche in una lotta permanente contro i ricorrenti tentativi di emersione golpista e nei frequenti tentativi di involuzione autoritaria che avrebbero caratterizzato la vita della repubblica.."
Scrive in merito Adolfo Battaglia: " ... Lo storico che ha dedicato maggiore attenzione al Pd'A, Giovanni De Luna, ha formulato l'immagine che poi è penetrata nella pubblicistica corrente:l'azionismo come fiume carsico che periodicamente si sotterra e ricompare. Ma ricompare, essenzialmente, perché di tempo in tempo tornano forti nella vita politica le esigenze di ordine etico: facili ad essere poi nuovamente sotterrate da ribalderie o da ferocia di interessi. Ed erano esigenze etiche quelle che sostanziavano l'idea della "rivoluzione democratica" da cui tutte indistintamente le correnti del partito d'Azione furono caratterizzate: una rivoluzione, diciamo così, purificatoria che avrebbe creato di colpo un'Italia più degna. Ma sul terreno politico le correnti del partito si dividevano, nessuna condividendo veramente la visione e le alleanze perseguite dalle altre. Il rigore morale che fu caratteristica del Pd'A è dunque una cosa, e l'opera politica della sua dirigenza, ovviamente, tutta un'altra. ..."
In ogni caso un fatto è certo. Tutti quanti continuarono, come singoli, e questo è un loro tratto peculiare, a distinguersi nella vita politica e sociale del paese, per valore, rigore morale e cultura.
Scrive l'azionista Francesco Fancello, nei Quaderni Politici del PDA:" ... In definitiva, ciò che spinge gli uomini a combattere, a sacrificarsi e, se è necessario, a morire per un ideale, non è già un teorema di economia politica o una tesi filosofica, quale che ne sia la efficacia chiarificatrice, ma un impulso morale. ... Prova certa, prova unica dell'impeto costruttivo di un partito politico è il fervore dei suoi aderenti, il profondo senso del dovere che li anima, la fierezza che li accende contro il prepotere e l'arbitrio, il disinteresse che non monetizza il sacrificio e non subordina comunque la propria attività a meschine ambizioni o a personale tornaconto; breve: l'odio per la corruzione, per la viltà, per l'opportunismo. Il Partito d'Azione tiene pertanto a ricollegarsi alle più nobili tradizioni morali del nostro Risorgimento, e segnatamente ai motivi perenni che vivono nell'insegnamento di Giuseppe Mazzini".
Nell'Italia di oggi non si può che nutrire un'immensa nostalgia per uomini come quelli del Partito d'Azione. Un'èlite morale e culturale che aveva come stella polare del suo cammino, pur nel ventaglio delle varie posizioni, soltanto il bene comune e l'immenso amore per la nostra Patria.
Lorenzo Bianchi
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI
Emilio Lussu, Francesco Fancello, Federico Comandini, Riccardo Bauer, Manlio Rossi Doria, Ugo La Malfa, Guido Calogero, Arturo Carlo Jemolo, Giovanni Balbi, Franco Momigliano, Vperiod, Guido Dorso, Aldo Garosci, Adolfo Omodeo, Ferruccio Parri, Maria Comandini – Tra Eresia e Santità Voll. I e II, I quaderni del Partito d'Azione – Il Settimo Libro - 2014
Teodori Massimo – Storia dei Laici – Marsilio 2008
Lussu Emilio – Sul Partito d'Azione e gli altri - 2009
Rossi Ernesto – Epistolario 1943-1967 – Editori Laterza – 2007
De Luna Giovanni - Storia del partito d'Azione - UTET
Vittorio Cimiotta – La rivoluzione etica – Mursia – 2013
Steccanella Maurizio – Un arcobaleno nella democrazia moderna – I Libri di EMIL – 2013
Bertoncini Marco – L'ircocervo azionista – Nuova Storia Contemporanea – Anno XI Numero 1 Gennaio – Febbraio 2007
Montanelli Indro – Cervi Mario – L'Italia del Novecento – BUR – 2000
Romano Sergio – I volti della storia – Rizzoli – 2001
Mack Smith Denis – Storia d'Italia 1861/1969 – Editori Laterza 1982