LA GLORIA E L’OBLIO, ENRICO CAVIGLIA
Londra, Buckingham Palace, 1920: un uomo alto, robusto, lo sguardo fiero, vestito di nero con un grosso cappello a cilindro, esce dal portone principale, saluta le guardie del servizio di sicurezza e sale su un taxi che lo sta attendendo. È un Italiano, ed è appena stato a colloquio con il re d'Inghilterra. Si chiama Enrico Caviglia, il Generale Enrico Caviglia. Finale Ligure, aprile 2006, in cima al capo di San Donato v'è la sua tomba. Ci si arriva inerpicandosi per una stradina tortuosa in mezzo alle case. D'inverno è battuta dal vento, sotto un cielo d'acciaio, davanti a un mare in tempesta; d'estate, in un mistico silenzio, sotto la volta di un cielo turchino, essa sovrasta un mare placido nel quale, parafrasando Leopardi, anche naufragare sarebbe meraviglioso. È il luogo ideale per la tomba del generale. Per il senso di grandezza che suscita e per la sua lontananza dalle umane vicende. Caviglia infatti, è un uomo avvolto dal silenzioso oblio della Storia, dall'ingratitudine e dall'ignoranza degli uomini. Rievochiamone per un momento la figura, poiché come ammoniva Benedetto Croce " la storia nostra è storia della nostra anima; e storia dell'anima umana è la storia del mondo".
IL TRIBUNALE DELLA STORIA: L’ITALIA ENTRA NELLA GRANDE GUERRA, TRADIMENTO O SACRO EGOISMO?
Fantasticate come potrebbe essere, se esistesse, un immaginario tribunale della Storia. Socchiudete gli occhi e raffiguratevi la maestosa bellezza del dipinto "La battaglia di Isso" di Altdorfer. Uno scenario sconfinato e senza tempo dove si svolge la Storia del mondo, sovrastato da un cielo apocalittico nel quale un sole ed una luna lontani appaiono spettrali osservatori. Al centro, come nel dipinto, una città sconosciuta, e nel mezzo di questa, una costruzione gotica la cui sommità si innalza verso l'infinito. E' il tribunale della Storia. Lo riempiono aule silenziose. Labirintici corridoi si perdono nell'ovattata quiete. Misteriosi cancellieri li percorrono carichi di fascicoli polverosi. Immaginate che la Storia, entità immateriale del destino, in questo ideale tribunale voglia processare l'Italia per il suo ingresso nella prima guerra mondiale.Molto spesso capita infatti di ascoltare severi giudizi sul modo con il quale l'Italia entrò nel primo conflitto mondiale. Sovente capita di leggere che l'Italia "non termina mai le sue guerre dalla parte in cui le ha cominciate".
IL PARTITO D’AZIONE: UN’ELITE MORALE E CULTURALE
Nella storia d'Italia è esistito un partito di cui è stata quasi smarrita la memoria. Un movimento politico e culturale che fondava la propria ragion d'essere sulle idee liberali, democratiche, socialiste, laiche e antitotalitarie che hanno prevalso nella temperie dell'ultimo secolo. Questo è stato il Partito d'Azione.Ha scritto Massimo Teodori nel libro "Storia dei laici": " Un paradosso distintivo del nostro paese rispetto all'Europa è lo scambio di ruoli fra vincitori e vinti. Nel secolo XX° in Occidente le tendenze laiche, liberaldemocratiche e socialdemocratiche, fondate sui diritti individuali, la democrazia politica e l'economia del benessere, hanno avuto la meglio sui progetti autoritari, corporativi e populistici, di destra e di sinistra ... In Italia le forze politiche e ideologiche avverse alla libertà e alla democrazia – il partito comunista, il partito postfascista e l'ala clericale del partito cattolico -, pur sconfitte dalla storia, sono invece sopravvissute mutando pelle con una varietà di denominazioni che non sempre ne ha cancellato le radici illiberali; mentre al contrario, le forze politiche e le tendenze culturali del mondo laico, liberale, democratico e socialista – affermatesi ovunque nel secolo ventesimo – sono state spazzate via, rendendo l'Italia, anche per questo, un'anomalia nel panorama europeo."
CERTI ITALIANI D’AMERICA Una rivista di anarchici italiani negli Stati Uniti degli anni 20’ del novecento
Ugo Stille, il vecchio direttore del Corriere della Sera negli anni 80', era solito dire che per scrivere un articolo occorre andare a cercare l'ispirazione lontano. Si avvicinava allora agli scaffali della sua ricca biblioteca e ne traeva qualche antico e polveroso volume, grazie al quale aveva inizio un meraviglioso viaggio nella storia e nell'inarrivabile felicità dei sogni.Così ho fatto più modestamente anch'io, per questo breve studio, ritrovando nascosta, fra due vecchi volumi dell'"Enciclopedia" degli Illuministi Diderot e D'Alembert, una rivista anarchica che si chiama "L'Adunata dei Refrattari", pubblicata a New York nel 1971. Si tratta dell'ultimo numero, infatti il fondo di prima pagina si intitola "Commiato" ed è firmato da Dando Dandi, che dovrebbe essere identificato in Candido Mollar, apprezzato collaboratore della rivista, di cui Raffaele Schiavina fu invece lo storico direttore, per quasi cinquanta anni, con lo pseudonimo di Max Sartin.
L'articolo comincia così: "Dopo mezzo secolo di vita attiva e feconda " L'Adunata dei Refrattari" cessa le sue pubblicazioni per cause naturali, cioè per la graduale scomparsa dei suoi sostenitori caduti sotto la falce inesorabile del tempo e dello spazio. Rimasti un numero esiguo noi non ammainiamo la nostra bandiera ideale che continua a sventolare lacera, fiera ed orgogliosa sugli spalti della lotta sociale".